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Il potere della parola

IV domenica del tempo ordinario

Dt 18,15-20; Sal 94; 1Cor 7,32-35; Mc 1,21-28

          Ogni testo richiama l’attenzione di un certo tipo di lettore e contemporaneamente lo costruisce. Il racconto di Marco costruisce un lettore «spiazzato» (Marguerat). È infatti un racconto fatto di frasi rapide, di unità segmentate. Parla di Gesù descrivendone i continui spostamenti, non solo da un paesaggio o da un luogo all’altro, ma anche all’interno dello stesso paesaggio, come avremo modo di vedere nella cosiddetta «giornata di Cafarnao», ora ai suoi inizi.

          Inoltre Marco ha molta simpatia per l’avverbio euthus, «subito» che compare nel precedente racconto della chiamata dei discepoli (1,18.20) e in questo racconto di quanto accade nella sinagoga di Cafarnao (1,21.23.28, ben tre volte in pochi versetti), creando una sorta di legame tra i due episodi.

          In complesso la narrazione marciana è dunque frammentata e procede a ritmo serrato, per frasi brevi e incisive, e il nostro episodio non fa eccezione.

          Guardando più da vicino questo racconto, si vede che è costruito su una serie di ripetizioni che servono a orientarci verso il suo centro significativo.

          Subito in apertura troviamo edidasken («insegnava» imperfetto, quindi qualcosa che non si verifica occasionalmente, v. 21), didache («insegnamento», v. 22.27) e en didaskon (v. 22, alla lettera «era insegnando», quindi un equivalente dell’imperfetto precedente). Dunque questa sorta di antefatto insiste sulla missione di insegnamento da parte di Gesù che si esplica nell’ambito normale della sinagoga. In questo luogo di aggregazione dei piccoli centri, casa di studio, più che di preghiera, chiunque raggiunta la maggiore età poteva essere invitato a parlare, specialmente se veniva da fuori: era infatti l’occasione anche per avere notizie del resto del paese.

          Gesù dunque insegna con exousia: anche questo termine torna due volte, ai vv. 22.27, e copre un ampio ventaglio di significati: dal potere fisico e mentale, al suo esercizio, al diritto di controllo, al governo. Nei LXX traduce l’ebraico memšala, che indica appunto il potere di governo (per esempio 2Re 20,13, Sal 114,2).

          Il riconoscimento di un potere di insegnamento conduce a ingaggiare una specie di lotta con l’uomo dallo «spirito impuro». Il fatto poi che exousia compaia all’inizio e alla fine della narrazione costituisce una piccola inclusione che in qualche modo dice il senso di tutto l’accadimento: un confronto tra poteri della parola per far emergere quello di Gesù tacitando lo spirito impuro.

          A fronte della parola che ha potere (1,25), lo spirito impuro risponde con un grido vuoto benché fortissimo (phonesan phone megale, v. 26 – per una volta Marco è sovrabbondante), o forse un grido-a-vuoto, un grido di chi non sa che cosa dire e a chi dirlo (Rocca).

          Il potere della parola è dunque l’elemento da sottolineare, tanto più che la reazione dei presenti nella sinagoga non è polemica come in altri casi, non mette in discussione l’operato di Gesù sebbene sia sabato, ma si limita a uno stupore e a un timore quasi reverenziali (Marco usa qui un verbo raro, thambeomai, tipico del linguaggio letterario, che compare, di nuovo, solo in Mc 10,24.32; usa però anche il composto ekthambeomai, come si vedrà più avanti).

          Tutto dunque avviene velocemente, e si tende a rimarcare il fatto che è l’insegnamento autorevole a essere liberante.

          Tale velocità è ribadita dalla successiva diffusione della fama di Gesù, che avviene euthus (v. 28).

          Si apre così una giornata densa di eventi e, come si è detto, di spostamenti. Tuttavia per ora è l’insegnamento l’elemento di primo piano, da cui discende la liberazione dallo spirito impuro. Del resto il verbo «insegnare» compare 17 volte in Marco e ricollega indirettamente la persona di Gesù a quella di Mosè morenu, «nostro maestro» e profeta (cf. Dt 18,5ss). L’autorevolezza di Gesù non interrompe la catena di tradizione iniziata al Sinai, semmai la conferma. Il fatto che egli abbia autorità a differenza degli scribi – e un’autorità che si estende fino all’esorcismo e al potere di guarigione – lo ricollega alla più pura tradizione di insegnamento e guarigione/liberazione dell’uomo. Dare la parola di Dio agli uomini, specialmente ai poveri, è guarirli e liberarli.

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