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Etica: quando l’emergenza è lo stress test delle nostre teorie

«Nell’astronomia (...) ai fini della ricerca sarebbe più opportuno che le stelle avessero un’orbita circolare (...) tuttavia il fatto che esse si muovano non circolarmente ma in ellissi, e addirittura in ellissi imperfette e con variazioni, non esclude questi fenomeni dall’ambito dell’indagine scientifica: con pazienza e operosità abbiamo imparato come ridurre a principi e come calcolare anche queste nozioni più complicate (...) In maniera del tutto simile, come moralisti, noi vogliamo sapere quel che si deve fare nel mondo reale in cui viviamo».

L’ordito

Questo breve passaggio de I metodi dell’etica[i] di Henry Sidgwick ci può aiutare a capire, proprio in questo mondo reale in cui viviamo e proprio in questa precisa realtà in cui dobbiamo vivere – qualunque essa sia, bella o brutta, pacifica o bellica, quieta o agitata, affollata o isolata, consolante o desolata –, che anche quando si è costretti a essere pratici, pur rinunciando apparentemente alla pretesa di coprire l’intero campo della moralità, non si sta abdicando all’etica.

Esiste cioè una parte, quella degli ideali, che non sempre è perfettamente assorbibile da un’altra parte che ruota attorno all’utilità. Preciso: non sempre perfettamente assorbibile non significa per niente componibile.

Quando si tratta di fare i conti con la realtà, soprattutto quando siamo sottoposti a una situazione di emergenza o di urgenza (ci ricorda qualcosa?), ritornare a riflettere su cosa intendiamo con il termine «morale» non guasta. Anzi: è nell’impatto con la concretezza che la teoria ci ritorna meno fumosa. La teoria, quella che nella quiete della frequentazione dei libri ci sembrava questione di lana caprina, nell’oggi che stiamo vivendo ci può far esclamare: ah ecco! Ora è tutto chiaro! Cos’è che ci ritorna chiaro? Ci ritorna chiaro che per «morale» s’intendono sempre due cose: a) quello che riguarda le altre persone; b) quello che riguarda sé stessi.

La trama

Distinte queste due accezioni (non stiamo separando nulla), ora siamo nelle condizioni di vedere, e di vedere, bene quello che succede tutte le volte che in una piena emergenza gli animi si riscaldano e i dibattiti si moltiplicano: succede che esiste un contrasto tra gli interessi per le altre persone e gli ideali propri, che possiamo tradurre in un esempio che oggi ci sembra molto ma molto familiare: la libertà di muoversi e di non essere tracciati oppure la sicurezza e l’incolumità personale e sociale?

È un vero e proprio tormentone, che ci trasforma tutti in spettatori di una discussione accesa tra due figure, che per lo più s’impongono e mettono tutti gli altri profili in secondo piano: da una parte il fanatico, dall’altra il ponderato. Il primo è tale perché i suoi ideali resistono ai fatti, il secondo si caratterizza per una considerazione a tutto tondo dei fatti.

Il primo – il fanatico – non lo è a motivo dei suoi ideali, ovvero non sono gli ideali che lo rendono fanatico, ma la sola considerazione di questi senza aver fatto i conti con i fatti; il secondo – il ponderato – sarebbe pure d’accordo con gli ideali del fanatico, se quest’ultimo riuscisse a capire che il miglior ideale in un conflitto tra l’ideale e l’interesse delle altre persone sarebbe quello di vedere in questo interesse (quello della maggior parte delle persone) il vero ideale!

Ogni vera teoria è pratica

Questo per dire che con un modo di procedere per avvicinamento a quello che si intende per «morale» noi pian piano identifichiamo il bandolo della matassa consistente nella capacità – in situazione di emergenza, lo ripeto – di includere gli interessi degli altri nei propri ideali.

Non è dunque il conflitto tra ideali che ci deve attrarre, perché è un conflitto che non ha luogo. Ciò che deve attrarre la nostra attenzione e deve attivare la nostra capacità di soluzione è il conflitto tra ideali e interessi. Questo è il vero e unico conflitto! Il ragionamento morale deve concentrarsi su come conciliare interessi contrastanti, sebbene non possa pretendere di far fuori chi continuerà a perseguire a discapito degli altri i propri ideali.

Un appello

Da qui l’appello che mi sento di lanciare: parliamo con i ponderati (i non fanatici), perché è con loro che si può tentare di argomentare, distinguendo questi, che sono magari propensi a ragionare chiaramente, dai fanatici (i non ponderati) nei confronti dei quali la logica non ha alcuna presa. Di fronte all’impossibilità di far fuori i fanatici, il ragionamento morale che qui ho portato avanti non perde di importanza, al contrario svolge una continua opera di distinzione per chiarire, individuare i fatti dalle valutazioni, i principi dalle argomentazioni.

 

Pietro Cognato insegna Teologia morale e bioetica presso la Facoltà teologica di Sicilia, l’Istituto di studi bioetici S. Privitera e la Facoltà di servizio sociale – LUMSA. Tra le sue opere: Fede e morale tra tradizione e innovazione. Il rinnovamento della teologia morale (2012); Etica teologica. Persone e problemi morali nella cultura contemporanea (2015)Ha curato inoltre diverse voci del Nuovo dizionario di teologia morale (2019).

 

[i] H. Sidgwick, I metodi dell’etica, I, 2, Il Saggiatore, Milano 1995.

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