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Curare in una situazione di emergenza

L’emergenza Covid-19 ha aperto molti interrogativi etici, in cui le questioni più classicamente bioetiche si mescolano con la dimensione sociale, economica e politica, senza considerare le implicazioni antropologiche sottostanti. Molti quindi gli interrogativi: quali scelte nell’allocazione delle macro-risorse sanitarie? Quale assetto per la sanità pubblica tra stato e privati? Quale rapporto tra salute personale e collettiva, tra salute globale e scelte quotidiane?

C’è poi la questione fondamentale della formazione e informazione della popolazione su temi che sembrano normalmente riguardare solo alcuni, il ruolo delle nuove tecnologie, la centralità e le urgenze per le professioni sanitarie così esposte in prima linea.

Quest’ultimo punto andrà messo al centro delle riflessioni future, per garantire a tutti gli operatori la massima sicurezza e insieme onorare la memoria di chi a diversi livelli ha offerto la sua vita sul campo.

L’ammissione a cure intensive

Tra tutte queste tematiche è emersa con particolare urgenza la questione della scelta di ammissione a cure intensive in un contesto di mancanza di risorse disponibili nell’emergenza, soprattutto a seguito di numerose segnalazioni in Lombardia ed Emilia-Romagna.

Il documento della Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva, dal titolo Raccomandazioni di etica clinica per l’ammissione a trattamenti intensivi e per la loro sospensione, in condizioni eccezionali di squilibrio tra necessità e risorse disponibili (6 marzo 2020), non ha mancato di suscitare polemiche e controversie a volte aspre.

Se va giustamente limitato il riferimento all’eccezionalità, per non indulgere in un linguaggio che riporta la normalità a uno stato di guerra e/o catastrofe – come sostenuto per esempio da Martin Lintner –, va tuttavia sottolineata l’emergenzialità della situazione, che non deve tuttavia far dimenticare i principi cardine dell’etica nella pratica clinica.

Si correrebbe altrimenti il rischio di fare dell’emergenza un momento escluso dalle pratiche ordinarie, senza interrogarsi sulla capacità del sistema di rispondere a dei cambiamenti sempre più repentini e quindi da non considerarsi come emergenziali ma ordinari.

Nella misura in cui ci si prepara preventivamente a scenari di questo genere, che poi vanno adeguati alla situazione specifica, non solo l’organizzazione risulta più pronta nella risposta, ma gli operatori potranno agire in team, sapendo che le loro scelte non sono né arbitrarie né eccezionali, ma entrano nella logica di traduzione di elementi già ordinariamente vissuti.

Il principio giustizia

In particolare, tra i principi classici della bioetica assurge a primaria importanza quello della giustizia, quale capacità di riconoscere la dignità di ciascuna persona a garanzia del più alto standard di cure nel contesto delle possibilità offerte da un’equa distribuzione delle risorse. Dalle testimonianze emerge come la genialità degli operatori abbia portato a seguire i principi classici come la beneficità e l’autonomia, cercando – in un contesto di difficilissima possibilità relazionale – di coinvolgere i pazienti e i familiari anche nei momenti più difficili.

In questa direzione è importante collocare le cure non solo nella rete relazionale e professionale, ma anche in una rete sistemica, in cui il presidio dove scarseggiano posti in terapia intensiva possa essere per esempio «soccorso» da altri presidi, in cui i posti per «positivi» non gravi possano essere liberati in strutture altre per lasciare le strutture più avanzate a «positivi» in stato critico.

Anche l’assistenza tra diversi sistemi sanitari regionali è stato un bell’esempio di relazioni solidali: si è evitato di identificare la regionalità con una divisione del paese o di tentare blitz per riportare la sanità nelle mani di un neo-centralismo. Così i servizi di etica clinica, con gli annessi Comitati per l’etica clinica, possono svolgere in ottica di rete un prezioso e agile ruolo di consulenza transdisciplinare.

Guardare al futuro

La pandemia, così nuova per l’Europa in pace da 75 anni, ci costringe a ripensare il modello antropologico di riferimento, transitando da una situazione di contestualità forzata alla costruzione di una solidarietà in atto richiesta dall’emergenza, come testimoniato anche dalla nota della Pontificia accademia per la vita su Pandemia e fratellanza universale (30 marzo 2020).

Anche guardando alle future emergenze che potranno verificarsi nel futuro, e cercando di ridisegnare un ordinario all’altezza delle emergenze costanti, è utile richiamare un criterio non astratto di personalismo, di contro a una deriva utilitaristica socialmente accettata e sdoganata come «stato di necessità», in una strana alleanza tra utilitarismo delle prassi relazionali singolari e autoritarismo dello «stato di eccezione» nelle scelte politiche in diversi modi autoritarie e neo-stataliste.

 

Leopoldo Sandonà è docente di Filosofia-Etica presso la Facoltà teologica del Triveneto, ISSR Vicenza.

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