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Correggere per costruire

XXIII domenica del tempo ordinario

Ez 33,1.7-9; Sal 95 (94); Rm 13,8-10; Mt 18,15-20

Correzione fraterna, perdono, accoglienza e stima dell’altro sono forse i temi più scabrosi e controversi della vita cristiana. Come è stato detto: «Per una correzione fraterna ci vuole un clima fraterno», a dire che il problema è quello di uno sfondo necessario. Forse per questo il testo di Mt 18,15-20 è costruito su nove «se» (gr. ean), e si muove tra ipotesi di possibilità ed eventualità.

La costruzione di una comunità è un progetto complesso e mai finito, perché molte e molteplici sono le possibilità e le eventualità nei rapporti umani. Infatti Mt 18 presenta diverse problematiche ecclesiali, e pare proprio che la correzione, con le sue ipotesi, sia una rilettura concreta della precedente parabola della pecora smarrita (cf. 18,12-14).

Si sa che se una pecora perde il contatto col gregge si mette a camminare vagando finché ha forze, dopo di che si lascia cadere sfinita là dove si trova. Luca ci dà indirettamente questo dettaglio, precisando che il pastore se la carica sulle spalle (cf. 15,5). Matteo invece, da un «se» all’altro, è come se ricostruisse un itinerario di ricerca del fratello che si è allontanato, attraverso una sorta di percorso canonico: il richiamo diretto, la presenza dei testimoni, l’allontanamento dalla comunità.

Questo itinerario non è punitivo. I testimoni, per esempio, non sono d’accusa; l’impressione è che debbano sorvegliare che il colloquio si svolga secondo le regole, un po’ come accade nel giudizio unilaterale (rib, cf. 1Sam 24,1ss e 26,1ss; Is 1,18-20; Sal 50-51) attestato nel Primo Testamento.

Quando infine chi non accetta di essere corretto viene allontanato come fosse un pubblico peccatore, niente fa pensare che si tratti di un allontanamento definitivo e che dietro le spalle di lui si chiuda una porta. Pare piuttosto un allontanamento temporaneo perché il fratello rifletta e rientri in sé. Perché il problema è «guadagnarlo». Cioè indurlo a conversione. Come si è visto qualche domenica fa, la «chiave» del Regno pare fatta solo per aprire, non per chiudere. L’ebraico mapteah, «chiave», dalla radice patah «aprire», fa pensare che il chiudere sia un’azione secondaria e che ci siano porte (della conversione, della preghiera e della misericordia, della celeste Gerusalemme) sempre aperte.

Si tratta quindi di fare il percorso inverso rispetto a quello di Caino, che era stato «acquistato» secondo l’etimo popolare del suo nome (dalla radice qanah, «comprare», Gen 4,1), ma è vissuto nel delitto e non è stato custode di suo fratello (Gen 4,9).

Di fatto i credenti sono custodi gli uni degli altri, ed è da questa consapevolezza di essere chiamati a essere custodi e pastori del proprio fratello che deve partire la riprensione.

Il percorso indicato dalle Scritture potrebbe essere delineato così: da colui che fu acquistato ma non ha guadagnato perché non ha custodito suo fratello – anzi lo ha ucciso – a colui che è da guadagnare, custodendolo, cercandolo e richiamandolo con la correzione. In questo spazio tra l’acquistato e quello da guadagnare sta il debito della carità (cf. Rm 13,8ss). E in questo debito sempre da onorare sta anche il momento della riprensione, altrettanto costosa per chi la pratica e per chi la riceve. È comunque il momento e l’atto in cui si salva la vita dell’altro e la propria (Ez 33,7-99).

In un linguaggio tra il giuridico e il pastorale, Matteo evoca un itinerario il cui culmine sta in una coppia di verbi (cf. Mt 18,18) che ci riporta alla consegna delle chiavi a Pietro (cf. Mt 16,19).

Si vede da qui come la vita della Chiesa si fondi su di un diritto che ha come sfondo costante la misericordia in ordine alla vita.

Insieme alla misericordia, la concordia: la Chiesa si costruisce sul cercare e correggere il proprio fratello (e implicitamente sul lasciarsi cercare e correggere) e sulla preghiera concorde nel nome di Gesù. Il problema non è nei numeri: due o tre bastano (cf. Mt 18,20), come dice anche la Mišna (PA 3,2), tanti quanti i testimoni della correzione.

Comunità e carità sono qualcosa da costruire a partire sì da un dono divino, ma sono soprattutto un obbiettivo severo ed esigente in cui la correzione è un passaggio necessario.

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