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Ascoltare e vedere

III domenica di Avvento

Is 35,1-6°.8°.10; Sal 146 (145); Gc 5,7-10; Mt 11,2-11

 

Protagonista assoluto dell’Avvento, Colui che viene è affiancato da due comprimari che si pongono e anche pongono domande.

Maria ha rivolto all’angelo (cf. Lc 1,34) un «come» interrogativo che non contesta e non dubita, ma semplicemente chiede.

Giovanni a sua volta interpella Gesù attraverso i suoi discepoli (Mt 11,3) e neppure questo, in senso stretto, è un dubbio, come gran parte della tradizione ha creduto.

Sia il «come» di Maria che il «sei tu» di Giovanni non intendono dubitare in senso proprio.

Giovanni sa che la promessa divina non può venire meno. La sua preoccupazione riguarda l’identità del «veniente» (o erchomenos), tanto che prevede che possa esserci «un altro». Non dubita della realizzazione della promessa, bensì vuol appurare l’identità di colui che viene. Dobbiamo pensare al clima dell’epoca, che era fortemente pieno di attesa messianica e il rischio di ingannarsi era forte. Giravano personaggi come Bar Abba, «figlio del padre» e, più tardi Bar Kochba, «figlio della stella», a cui diede credito il grande Rabbi Akiba. Dunque era importante appurare se colui che parlava e agiva era la persona giusta.

Giovanni investiga in base a quel che ha sentito dell’insegnamento di Gesù, che pure conosce perché sono parenti, e delle sue azioni.

Gesù non dà una risposta diretta, ma chiede ai discepoli di Giovanni di riferire quello che a loro volta hanno ascoltato e visto, collocando il proprio insegnamento e le proprie azioni sullo sfondo di alcuni oracoli di Isaia che si potevano ascoltare in sinagoga (cf. Lc 4,18s) e che definiscono un contesto messianico.

Apporta però alcune modifiche alle citazioni. Gesù elenca il fatto che i ciechi ritrovano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi odono, i morti sono risvegliati; l’elenco culmina con la buona notizia che è annunziata ai poveri. Rispetto a Isaia Gesù aggiunge la guarigione dei lebbrosi e la risurrezione dei morti, ovvero la restituzione alla vita sociale di chi ne è escluso e la vita eterna che si associa al regno di Dio.

Non cita invece la liberazione di schiavi e prigionieri (cf. Is 61,1) e Giovanni, come sappiamo, è in prigione, perciò la sua domanda è legittima. Per di più, se diamo retta a Giuseppe Flavio è nella fortezza di Macheronte, un luogo che è al tempo stesso palazzo reale d’inverno (Erode ne aveva quattro), fortezza e prigione, e certamente questi tre ambienti sono molto dissimili l’uno dall’altro.

La domanda di Giovanni ha dunque un fondamento e la risposta di Gesù è, almeno su un punto, reticente. Tuttavia Gesù non minimizza la persona e il ruolo di Giovanni, ma gli rende testimonianza come ultimo dei profeti e, in quanto messaggero al pari di Elia, come suo precursore. Non a caso la tradizione considera Giovanni protettore dei monaci, la cui funzione è quella di ricordare alla Chiesa il tempo ultimo.

Gesù antepone comunque l’ascoltare al vedere: ascoltare e interrogare le Scritture che egli stesso interpreta, ma ascoltare anche la gente che parla di fatti quotidiani, trovando in questo ascolto la chiave per interpretare quello che si vede.

Egli comprende che quella di Giovanni è una domanda e non un dubbio, e indica nell’accordare ciò che si ascolta con ciò che si vede il modo per non trovare inciampo in lui, anzi per scoprire come nella storia si snodi il sentiero di Isaia (cf. 35,8), lungo il quale andare incontro al Veniente.

Viene così proclamata una nuova beatitudine, che compie la visione del profeta. Chi non trova inciampo in Gesù ha trovato la via. In questa beatitudine compare l’unica parola non scritturistica del testo, skandalon, «inciampo», senza che il testo ce ne renda ragione. Gesù non può essere inciampo per quel che insegna e neppure per quel che fa, visto che, tranne che nel caso dei lebbrosi e della risurrezione, sempre si muove nell’ambito delle profezie. Forse può essere skandalon rispetto alle aspettative di alcuni, Giovanni compreso, il quale può immaginare quale sarà il suo destino nelle mani di Erode e, soprattutto, di Erodiade.

Matteo ci dice, in ogni caso, che è lecito interrogarsi su di lui.

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