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Ai confini del mistero

IV domenica di Avvento

2Sam 7,1-5.8-12.14.16; Sal 89 (88); Rm 16,25-27; Lc 1,26-38

          I toni escatologici dell’Avvento vanno smorzandosi, mentre l’attenzione sembra concentrarsi sulla dimensione sincronica del mistero, ovvero sull’accadimento della prima venuta del Messia. In questa domenica tuttavia i testi giocano sulla polisemia di alcuni termini, spostando continuamente l’attenzione di chi ascolta o legge dal livello quotidiano del linguaggio a un livello più alto e simbolico.

          Il termine più frequente nel testo di 2Sam 7,1-16 è «casa», ed è naturale che dopo una serie di guerre e non facili traversie, una volta divenuto re, David pensi a una casa per sé, soprattutto come elemento di prestigio. In un secondo momento pensa a una «casa» per l’arca, che fino a quel momento è stata custodita nella tenda.

          David sa che Dio non può abitare da nessuna parte e, nello stesso tempo, sta dappertutto. Dato però che dell’arca si parla, il profeta si mostra d’accordo. Il suo ripensamento notturno è dovuto al fatto di riuscire a collegare l’arca a Dio stesso (ha´aTTah Tibneh-llî baºyit lüšibTî, 2Sam 7,5) come non fosse solo un segno, per quanto nobile, ma una presenza con cui Dio s’identifica. Il fatto è che il Dio dell’esodo non vuole stanziarsi, ma mantenere la propria condizione di Signore provvidente accanto a un popolo in cammino: la tenda è dunque la naturale collocazione dell’arca, almeno fino a quando anche il popolo non avrà trovato una propria stabilità (2Sam 7,10).

          Riferendo lo stesso episodio il Cronista ne darà un’interpretazione moraleggiante (cf. 1Cr 22,8ss), ma il redattore deuteronomista è preoccupato di una fedeltà alla storia del popolo e di Dio più che della morale personale del re.

          Il desiderio di David diventa così l’occasione per un racconto di elezione e la «casa» un termine con valore non più spaziale, ma temporale e diacronico, una dinastia che sarà resa stabile per sempre (ʻad ʻolam, v. 16 due volte).

          Siamo dunque posti di fronte a un’iniziativa, quella di David, che per quanto buona non va a buon fine. Si potrebbe quasi dire che Dio è geloso degli umani destini e vuole avere l’esclusiva su di essi; proprio questa gelosia causa lo slittamento di significato per quanto riguarda la «casa».

          Il testo di Lc 1,26-38 ci presenta invece un’iniziativa divina che va al di là delle umane aspettative. Il testo è stato studiato e commentato sotto tutti i punti di vista, perciò ci fermeremo solo sull’elemento analogo al precedente – una sovrapposizione di significati –, per il quale non si può dire una parola definitiva e irreversibile.

          Riguarda il saluto iniziale chaire, che Gerolamo, come sappiamo, interpreta come semplice saluto quotidiano, traducendo Ave (Ep. XXII, 38). Si tratta infatti di un imperativo che si è desemantizzato, diventando un saluto come attestano la tradizione classica, il linguaggio dei papiri e lo stesso Nuovo Testamento (cf. Mt 26,49, 27,29; Mc 1,18; Gv 19,3). Ha però conservato anche il suo significato proprio, come mostrano svariati esempi in tutta la letteratura, nei Sinottici e nel corpus paolino.

          La nostra attuale traduzione «rallegrati» si deve all’interpretazione che Lyonnet propose molti decenni fa, incrociando il testo di Luca con Sof 3,14-15.

          Si può pensare che in realtà l’una cosa non escluda l’altra, perché la rivelazione avviene sempre nel contesto di una storia quotidiana. Il saluto consueto, accompagnato dal participio perfetto kecharitomene, è suonato parecchio sconcertante all’orecchio di Maria, che si è meravigliata fino al turbamento come indica il verbo diatarasso (v. 29) – hapax che dice un vero sconvolgimento – per un saluto del quale Maria stessa arriva a chiedersi di dove venga (potapos, v. 29).

          Il testo ha dunque due registri: da una parte racconta una scena feriale insistendo sul nome del luogo, della vergine e del fidanzato (con onoma tre volte ai vv. 26-27) senza però precisare dove sia entrato l’angelo (in una casa o dove?) e facendoci pensare che si tratti di un entrare-in-relazione più che in un ambiente fisico.

          Inoltre abbiamo un racconto dell’annuncio di una nascita come ne troviamo anche nel Primo Testamento, in cui però è espresso un consenso esplicito, che negli altri racconti manca. Saluto, ambientazione, linguaggio e consenso vogliono da subito introdurci a una lettura in cui il puro accadimento sconfina direttamente nel mistero.

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