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A scuola! Zaini (e PC) in spalla

Suona la campanella nelle nostre scuole, e migliaia di bambini, ragazzi e giovani cominciano o riprendono la scuola, costruendo il loro futuro intellettuale, sociale e di fede.

Suona in queste ore la campanella nelle nostre scuole, e migliaia di bambini, ragazzi e giovani cominciano o riprendono la scuola, costruendo il loro futuro intellettuale, sociale e di fede.

L’istruzione aiuta le persone a essere libere, a pensare e agire; l’educazione è uno dei pilastri della dottrina sociale della Chiesa. Come ebbe a dire Giovanni Paolo II all’Unesco: «L’educazione consiste in sostanza nel fatto che l’uomo divenga sempre più umano, che possa “essere” di più e non solamente che possa “avere” di più, e che di conseguenza, attraverso tutto ciò che egli “ha”, tutto ciò che egli “possiede”, sappia sempre più pienamente “essere” uomo. Per questo bisogna che l’uomo sappia “essere più” non solo “con gli altri”, ma anche “per gli altri”».

In tempo di rivoluzione digitale quale educazione è necessaria perché l’auspicio di Giovanni Paolo II divenga realtà? Quali elementi educativi devono essere ulteriormente implementati?

Ne colgo uno, forse non immediatamente evidente, ma significativamente rilevante: la capacità, che diventa potere in senso positivo, di governare e liberamente scegliere la propria presenza in rete, nell’infosfera.

Facciamo prima un piccolo passo indietro: il digitale, come ha spiegato Astra Taylor nel suo libro The People’s Platform, non ha realizzato davvero quel processo di democratizzazione e di redistribuzione dei poteri che possa ridare alle persone reale capacità di gestire le proprie esistenze. Principalmente non lo ha fatto, pur avendone il potenziale, perché non ha esercitato il suo potenziale di disintermediazione ma, al contrario, ha semplicemente ridefinito le mediazioni favorendo l’ascesi, sino al monopolio, di nuovi intermediatori, spesso più difficili da vedere.

Ognuno di noi scrive, pubblica, registra, condivide su piattaforme di cui non è davvero proprietario, di cui è utente, neppure cliente e così in qualche modo succube. Noi ci esprimiamo on-line secondo codifiche e possibilità preimpostate da altri. Così funzionano i social, così le grandi piattaforme per il blogging come Wordpress e altri.

La facilità di esercizio di questi strumenti ha un prezzo, la nostra libertà nel poterli realmente gestire e modificare. Tutto questo vincola significativamente la nostra libertà, senza che noi, e men che meno i nativi digitali, ne abbiamo contezza.

Tornando dunque al nostro tema iniziale, quale elemento educativo possiamo o forse dobbiamo introdurre nei processi? Insegnare ai bambini come funziona il web, i rudimenti della programmazione, così come insegniamo grammatica e sintassi perché le grammatiche e le sintassi del mondo digitalizzato sono oggi queste. È importante educare ed educarsi al fatto che il mondo on-line non è un fatto ineluttabile, ma è un prodotto umano costruito secondo determinati parametri che possono essere diversi da quelli decisi da chi ne trae un profitto, lecito, ma ingovernato e ingovernabile.

Non esiste solo il mondo creato dai signori della Silicon Valley, esiste un mondo potenziale in cui la creatività e la libertà dei nostri piccoli, come la nostra, possono esprimersi autonomamente e liberamente. A esso dobbiamo educarci, in esso possiamo esprimere la nostra differenza umana e di fede, in esso scoprire nuovi orizzonti in cui rendere ragione dei nostri talenti e della nostra fede, senza che lo si debba fare con un format preimpostato da altri, unificante forse ma soprattutto drammaticamente uniformante.

 

Luca Peyron è prete della diocesi di Torino, docente di teologia all’Università cattolica di Milano e di spiritualità dell’innovazione all’Università di Torino. È autore di Incarnazione digitale (Elledici 2019).

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