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Attualità
Attualità, 4/2020, 15/02/2020, pag. 124

Mano o lingua?

Segni esteriori e fede profonda

Piero Stefani

Don Federico Bortoli è un presbitero della diocesi di San Marino e Montefeltro. Dottore in Diritto canonico, pubblicò, nel febbraio del 2018 presso la casa editrice Cantagalli di Siena, il suo testo finora più noto: La distribuzione della comunione sulla mano. Profili storici giuridici pastorali. Il libro prende le mosse dall’istruzione della Sacra congregazione del culto divino Memoriale Domini del 1969. Il documento aveva solennemente stabilito che la pratica della comunione sulla lingua dovesse essere conservata e paventava eventuali conseguenze negative connesse a ogni cambiamento di disciplina.

Ciononostante la pratica della comunione sulla mano si è imposta a tal punto che l’eccezione è diventata regola. Il volume, facendo ricorso a un’ampia documentazione in gran parte inedita, mostra come ciò sia potuto accadere. L’autore fa ricorso ad approfondimenti storici, giuridici e pastorali per evidenziare come la prassi mutata abbia contribuito ad affievolire la fede nella presenza reale di Cristo nell’eucaristia.

Il grido d’allarme contenuto nel libro è stato raccolto dal card. Robert Sarah, attuale prefetto della Congregazione del culto divino e la disciplina dei sacramenti, che firma la Prefazione al volume. A proprio sostegno il porporato guineano convoca l’angelo di Fatima: alla terza apparizione, nella primavera del 1916, il messaggero celeste si mostrò tenendo con la mano sinistra un calice sul quale era sospesa un’ostia; mentre tutti e tre i veggenti si trovavano in ginocchio diede l’ostia a Lucia e il vino del calice a Giacinto e Francesco, accompagnò il gesto con parole che affermavano che il corpo e il sangue di Gesù Cristo, ai quei tempi, erano orribilmente oltraggiati da uomini ingrati. Occorreva riparare quei crimini e «consolare Dio». Si tratta di parole, aggiungiamo, pronunciate in anni nei quali il sangue umano impregnava in misura senza precedenti la terra europea.

E oggi che succede? Le profanazioni continuano, specie nell’ambito delle cosiddette messe nere tipiche dei gruppi satanisti; dal canto loro si moltiplicano le comunioni sacrileghe sia perché i fedeli accedono tranquillamente al sacramento in uno stato di peccato mortale, sia perché si indulge non di rado alla pratica della cosiddetta «intercomunione». Molti teologi da parte loro dileggiano, o almeno prendono alla leggera, l’idea di transustanziazione.

La questione è che il modo d’accostarsi alla comunione incide sulla fede nella presenza reale. Riceverla sulla mano produce una gran dispersione di frammenti. Se non si presta attenzione alle briciole, a poco a poco, s’affievolisce la convinzione che nostro signore Gesù Cristo sia contenuto «corpo, sangue, anima e divinità» (come si esprimeva il Catechismo di Pio X) nelle specie eucaristiche. La prassi più conforme a questa convinzione di fede è quella di ricevere la comunione in ginocchio e sulla lingua.

Madre Teresa di Calcutta, prosegue il cardinale, ogni giorno toccava la carne di Gesù nei sofferenti, ma lei, che passava lunghe ore in adorazione dell’ostia consacrata, ben si guardava dal ricevere la comunione sulla mano, la particola era deposta «nella sua bocca, come un piccolo bambino che si lasciava umilmente nutrire dal suo Dio». Ricevere la comunione sulla lingua è dunque un baluardo contro la profanazione dell’ostia. Ciò ha luogo sia perché questa prassi rende meno agevoli furti sacrileghi sia perché inculca nei fedeli la convinzione della presenza reale ed evidenzia come l’inginocchiarsi davanti a Dio rappresenti un atto d’autentica adorazione.

Il card. Sarah e don Bortoli sono solo due dei molti sostenitori della sacralità che circonda la comunione ricevuta sulla lingua. Ma, ai nostri giorni, il ripristino generalizzato di questa prassi basterebbe a infondere tra masse di fedeli sviati il senso del sacro? Non si sbaglia rispondendo in modo negativo alla domanda.

Tatuaggi e piercing removibili

La moda dei tatuaggi si è affermata ormai da così tanti anni da aprire la strada al pentimento. Si ripropone perciò in modo più stringente un’alternativa: il farsi tatuare è espressione del desiderio inconscio di avere addosso qualcosa di permanente in un’epoca nella quale tutto è instabile (o liquido)? Oppure rappresenta la decisione di aver impresso sul proprio corpo, nell’immediato, un segno evidente senza mettere in conto che domani o posdomani forse ci si pentirà della marchiatura oggi liberamente scelta?

Sta di fatto che i laboratori specializzati in tatuaggi giocano ormai su un doppio registro, guadagnano sia sul fronte del fare sia su quello del disfare, si definiscono infatti «Tattoo and Remove». Per proporre un’analogia tanto immaginaria quanto volgare è come se un confessionale, voluto dalla stessa tenutaria, fosse collocato all’uscita di un vecchio postribolo. Il pentirsi, il tornare indietro (in ebraico il pentimento si dice appunto teshuvah, dal verbo shuv «ritornare») riguardano oggi anche il corpo e non solo l’anima.

Sembra empio affermare che il remove costituisca una versione ipersecolarizzata del versetto del Miserere: «Lavami e sarò più bianco della neve» (Sal 51,9). In realtà, in un’epoca nella quale, da decenni, un caffè è collocato in paradiso e il giorno del giudizio è evocato per propagandare sconti sui sofà, è solo la scomparsa delle pratiche penitenziali a rendere improbabile l’accostamento.

Il versetto biblico sarebbe infatti scambiato, inevitabilmente, come la pubblicità di un detersivo. La secolarizzazione presuppone, per definizione, la presenza di qualche traccia del sacro. La smemoratezza, quando è troppo avanzata, consuma anche l’idea di profanazione.

Tuttavia, dove c’è qualche labile vestigio di sacro l’operazione secolarizzante è ancora riproponibile. A provarlo è un’attività che si affianca a «Tattoo & Remove», nel caso specifico si tratta di un laboratorio bolognese denominato «Love & Piercing». Quando prevale il forare (in inglese to pierce) non c’è bisogno di pubblicizzare la rimozione. I piccoli globi di metallo (o di qualsiasi altro materiale) sono facili da togliere. Se si volesse paragonare i piercing ai peccati, essi sarebbero veniali.

Tra le forme pubblicitarie di «Love & Piercing» vi è quella di distribuire una foto corredata dalla scritta: «Keep the planet beautiful, express yourself». Qual è l’immagine raffigurata nella piccola stampa? Si scorge la parte finale di un camice sacerdotale e una mano che sta per deporre un’ostia sulla lingua, munita di piercing, di un ragazzo. Una fonte ben informata ci assicura che un prelato di un certo prestigio, colpito dall’immagine, ne ha chiesto una gigantografia. Fatto salvo il beneficio d’inventario con cui va circondata la notizia, viene il sospetto che la richiesta sia stata mossa da fini pastorali per dimostrare che pure i giovani che si fanno i piercing hanno l’abitudine di comunicarsi.

La forma dei gesti

L’episodio va preso per quello che vale, tuttavia esso non è rinserrabile solo in una piccola notazione di costume. Anche gli eventi minimi possono essere simbolici. Pensare che nella nostra società si possano difendere i recinti del sacro ripristinando ritualità intoccabili è una pia illusione (aggettivo, in questo caso, davvero appropriato). È evidente però che il discorso teologicamente più impegnativo va spostato su un piano più profondo, esattamente quello del senso legato alla comunione eucaristica. Sotto questa angolatura è vero che la gestualità non è indifferente al significato del rito. Il compito della pastorale sarebbe di spiegarla per far sì che essa sia assunta pure nella dimensione interiore.

L’immagine pubblicitaria di «Love & Piercing» è piccola e selettiva. Da essa non è dato comprendere in maniera definitiva se il comunicando stia in piedi o inginocchiato. Tuttavia la posizione della mano del celebrante inclinata vero il basso lascia propendere per la seconda ipotesi. In ogni caso, oltre al discorso relativo alla mano o alla lingua, vi è quello che riguarda i piedi e le ginocchia.

L’Ordinamento generale del Messale romano, nel paragrafo 160, afferma: «Il sacerdote prende la patena o la pisside e si reca dai comunicandi, che normalmente si avvicinano processionalmente». Conformandosi all’espressione contenuta in un ben noto canto eucaristico è dato ripetere: «Il tuo popolo in cammino cerca in te la guida. Sulla strada verso il Regno sei sostegno col tuo corpo: resta sempre con noi, o Signore!». L’andamento processionale ha, potenzialmente, un significato profondo. Nel procedere collettivo è insita una cifra d’incompiutezza propria di un cammino orientato verso il futuro banchetto del Regno. Anche in questa situazione è dato di parlare di un «già» e di un «non ancora».

Nella polivalenza dei segni è pensabile che chi si accosta a ricevere l’ostia sulla mano riviva, anche nel caso in cui non le conosca, le ultime parole scritte da Martin Lutero alla vigilia della propria morte: «Wir sind Bettler: hoc est verum!» («Siamo mendicanti: questo è il vero»). Stendere la mano per accogliere quanto altri ci donano è gesto da mendicanti che ben si attaglia a poveri che, grazie al corpo di Gesù Cristo da loro ricevuto, s’inoltrano sul cammino che li condurrà soltanto alla fine dei tempi alla mensa del Regno.

Tipo Parole delle religioni
Tema Teologia Cultura e società
Area
Nazioni

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