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Attualità
Attualità, 16/2017, 15/09/2017, pag. 449

Italia - Politica: gli antirenziani

Tra soggetti antisistema e residuati storici

Gianfranco Brunelli

Dopo essere intervenuti nel numero scorso (cf. Regno-att. 14,2017,388) a elencare quelli che secondo noi sono stati gli errori e gli appuntamenti mancati, da un punto di vista sistemico, del leader del Partito democratico (PD), Matteo Renzi, occorre dedicare qualche riflessione anche agli altri.

 

Dopo essere intervenuti nel numero scorso (cf. Regno-att. 14,2017,388) a elencare quelli che secondo noi sono stati gli errori e gli appuntamenti mancati, da un punto di vista sistemico, del leader del Partito democratico (PD), Matteo Renzi, occorre dedicare qualche riflessione anche agli altri.

Siamo partiti dal PD e dal suo leader perché esso, nel sistema politico italiano, rimane l’unico soggetto politico che mantiene ancora una qualche forma-partito e la declina in senso democratico.

Anche la Lega ha ancora qualcosa del modello-partito, ma è assai meno strutturata su un piano nazionale; il PD ha inoltre attivato qualche metodo democratico effettivo, come ad esempio le primarie, per selezionare il proprio leader, cosa che nessun altro partito ha. Lega compresa. Dunque il nome del PD, sia nel sostantivo sia nell’aggettivo, ha una qualche verità. E questa è una buona notizia per il sistema democratico.

A maggior ragione, dopo Renzi e il PD, occorre analizzare criticamente gli altri. Si può partire dall’area del centro-destra. Probabilmente questa è nell’insieme elettoralmente maggioritaria nel paese, ma in questi anni è stata attraversata dalla crisi inconclusa del berlusconismo (inteso come Berlusconi), dalla fine di Alleanza nazionale e dalla nascita di una piccola formazione più spostata a destra come Fratelli d’Italia, dalla transizione da Bossi a Salvini nella Lega. Due su tre di queste trasformazioni (Berlusconi e Bossi) sono state condizionate, di fatto, dall’intervento della magistratura.

La Merkel non basta

Dopo essere stato a lungo il primo partito, Forza Italia è oggi il quarto sulla scena nazionale e il secondo nel centro-destra, dopo la Lega, entrambi sotto il 20%. FI, in particolare, negli ultimi cinque anni ha perso progressivamente diversi milioni di elettori, che si sono in gran parte rifugiati nell’astensionismo o che hanno condiviso, negli anni della crisi economica e sociale, gli umori leghisti e persino grillini della protesta e della reazione. Mentre lo spostamento elettorale di campo tra il centro-destra e il PD è stato minimo.

Berlusconi tuttavia c’è ancora. A dispetto degli anni, delle vicende giudiziarie, delle sconfitte politiche. C’è ancora grazie agli errori del PD di Veltroni, di Bersani, di Renzi e del centro-sinistra prima del PD (leggi soprattutto D’Alema). C’è ancora e ha ritrovato un posto importante nell’Europa politica di Angela Merkel, del Partito popolare europeo (PPE), essendo riuscito a ottenere per Tajani la presidenza del Parlamento europeo. In quel contesto la cancelliera tedesca ha oggi bisogno di Berlusconi e della forza, per quanto residuale, di Forza Italia, e lo sosterrà nelle vicende italiane.

Questa forza residuale è tuttavia anche il suo perimetro di gioco politico immediato. Berlusconi con un suo presidente del Parlamento europeo e un alleato come la Merkel non può permettersi di fare l’antieuropeista, come fanno i suoi potenziali alleati: Salvini e Meloni. Anzi, nella lunga campagna elettorale nazionale, appena iniziata con le elezioni regionali siciliane, egli esibisce Tajani come suo candidato premier.

Difficile immaginare che riesca ad assemblare in una lista coalizionale, come richiede l’attuale legge elettorale per raggiungere il 40% e ottenere il premio di maggioranza, la Lega e Fratelli d’Italia. Non solo sul piano dei cosiddetti programmi, ma propriamente sul piano più vero dello scontro con Salvini per la leadership del centro-destra.

Oggi siamo al compimento della parabola iniziata nel 1994. Berlusconi inoltre non ha eredi interni a Forza Italia, né immagina successori. La sua formazione rischia di esaurirsi con lui. Oggi la sua battaglia è quella di riconquistare la leadership nel centro-destra e contare su un blocco del sistema politico, cioè su un turno elettorale complessivamente senza esito, per proporsi craxianamente come condicio sine qua non di un futuro governo di «larghe intese» e in ogni caso di una qualche maggioranza parlamentare.

Non è Berlusconi dunque a poter dare un contributo effettivo al superamento dell’attuale blocco democratico del sistema politico.

Salvini si è liberato (ma sarebbe meglio dire: è stato liberato) definitivamente della presenza di Bossi. Il costo anche d’immagine è alto. Il passaggio altalenante di linguaggio tra l’autonomismo e le forme confuse di un nazionalismo a sfondo razziale, i temi dell’antieuropeismo e della minaccia migratoria lo hanno premiato in termini di voti (ha preso il partito che era al 3%, oggi è al 14%) e di potere (governa la Lombardia e il Veneto).

Tuttavia è difficile immaginare una sua leadership dell’intero centro-destra. Come lo era per Bossi. Non tanto per gli aspetti sociologici che caratterizzano i due personaggi – siamo passati dal provincialismo felliniano della canottiera alle felpe piccolo-borghesi del milanese –, ma per motivi di posizionamento politico.

In questo senso anche Salvini risulta disfunzionale al disegno di compimento della democrazia. Mentre la posizione politica di Fratelli d’Italia si barcamena con numeri esigui tra un passato di destra residuato e nuovi umori ribellistici. Poco, per rifare una destra. Nulla, per farne una democratica. Cosa che sarebbe in sé utile nel quadro della rappresentanza politica.

Dal «vaffa» a San Gennaro

Il Movimento 5 stelle (M5S) è simmetrico alla Lega. Nel momento in cui l’onda lunga dei «populismi» è già risacca, Grillo tentenna. Non sa più bene che fare oltre a ripetere il suo linguaggio.

La candidatura a premier e a leader del Movimento del vicepresidente della Camera Luigi Di Maio è un tentativo di presentarsi con un volto più istituzionale (dal «vaffa» bolognese di vent’anni fa, al bacio dell’ampolla di San Gennaro), ma il problema della ceto politico grillino rimane. L’apprendistato parlamentare ha reso una parte importante dei rappresentanti del Movimento in grado di svolgere efficacemente l’opposizione parlamentare, incassando anche qualche risultato rilevante, ma il governo delle città e del paese è altra cosa.

Il Movimento 5 stelle non ha classe dirigente, dovrebbe fare campagna acquisti. E là dove governa città importanti come Roma e Torino ha comunque segnato il passo (Torino) o ha mostrato un volto tragicomico (Roma).

Ma oltre alle contraddizioni interne al Movimento che questa nuova fase apre (M5S rischia di scomporsi e perdere pezzi significativi), è il modello antisistema che non può funzionare per il governo. È una contraddizione in termini. Ma è la realtà. I protagonisti antisistema della Brexit il giorno dopo la vittoria sono fuggiti, lasciando l’Inghilterra in una situazione tra le più critiche della sua storia.

Non si tratta solo d’incompetenza o irresponsabilità. Il male oscuro del grillismo, come di ogni forma antisistemica, è il deficit di democrazia, il non rispetto delle regole democratiche, che vengono scavalcate in nome di una supposta maggiore democrazia diretta. Poi c’è il non rispetto dell’avversario, che è sempre un nemico. E un nemico lo si combatte per eliminarlo.

La solitudine dei 5 Stelle non è l’ideale della purezza, nessuna alleanza, nessun compromesso, ma l’idea del vuoto attorno a sé. Oggi rispetto al compimento della nostra democrazia il Movimento di Grillo cessa di essere una risorsa almeno rappresentativa della protesta. Se il salto istituzionale non riesce, essi sono piuttosto l’elemento critico della democrazia. Certamente più di Salvini, che dove governa ha praticato le tesi opposte a quelle che ha enunciato.

C’è poi l’area multiforme dei soggetti che si sono moltiplicati, di scissione in scissione, alla sinistra del PD. Essi, un po’ come all’opposto i Fratelli d’Italia, somigliano più a un residuo novecentesco che a un progetto nuovo di ripensamento della sinistra e dei suoi valori.

Il 5% di una storia. Era sembrata utile e necessaria allo schema di competizione democratica di tutta l’area elettorale del centro-sinistra l’iniziativa di Pisapia. Ma oggi si può dire che quell’iniziativa, nel momento in cui si pensa come competitiva nei confronti del PD e finisce subalterna alle nostalgie bersaniane e dalemiane, abbia perso la propria funzione e il proprio orientamento.

Può dare un contributo, e lo darà, in negativo: contribuirà a conservare ancora a lungo il blocco del sistema, può fare perdere il PD, ma non darà forza a una democrazia competitiva e governante.

In questa situazione, al di là degli errori renziani, la scomposizione del centro-sinistra fa perdere il paese. Pur con gli errori compiuti, Renzi (ridimensionato e affiancato da un’effettiva classe dirigente: quella dei Gentiloni, Minniti, Martina, Delrio e di qualche altro) e il PD rimangono l’asse portante del nostro sistema.

Irriderli è da irresponsabili.

 

Gianfranco Brunelli

Tipo Articolo
Tema Politica
Area EUROPA
Nazioni

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