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Attualità
Attualità, 20/2016, 15/11/2016, pag. 588

Ora di religione / 2: riaccendere una passione

A 25 anni dalla nota pastorale della CEI

Sergio Ventura

Dopo aver evidenziato ciò che nella nota pastorale CEI sull’insegnamento della religione cattolica in Italia del 1991 (Regno-att. 16,2016,457) sembra tuttora funzionare, è bene segnalare in questa seconda parte della riflessione quegli aspetti che, invece, crediamo siano restati lettera morta, insieme a quelli che potrebbero essere rivisti.

Dopo aver evidenziato ciò che nella nota pastorale CEI sull’insegnamento della religione cattolica in Italia del 1991 (Regno-att. 16,2016,457) sembra tuttora funzionare, è bene segnalare in questa seconda parte della riflessione quegli aspetti che, invece, crediamo siano restati lettera morta, insieme a quelli che potrebbero essere rivisti.

Innanzitutto, tre sono i punti della nota sulla cui realizzazione ed efficacia sarebbe auspicabile una ricerca ed eventualmente una messa in rete ufficiale dei risultati che invece ancora manca:

  1. Si è perseguito «con decisione», al fine di «far crescere la qualità dell’insegnamento della religione cattolica» (n. 31; ECEI 5/212), la costituzione in ogni diocesi di uno o più «gruppi» di insegnanti che offrano a vantaggio di tutti «un contributo significativo per le sperimentazioni e per le iniziative di studio sull’insegnamento della religione cattolica» (n. 32; ECEI 5/213)?
  2. La comunità cristiana (a partire dalle associazioni laicali) ha offerto agli insegnanti di religione «segni concreti di apprezzamento e di sostegno» professionale e spirituale, considerandoli «parte integrante del compito educativo della Chiesa» (nn. 33. ECEI 5/215), essendo questi ultimi «mandati» dal vescovo diocesano per un servizio ecclesiale ma dotato di «modalità proprie» (n. 22; ECEI 5/193)?

Essa assicura «una convergenza di attenzione e di collaborazione responsabile» (n. 25; ECEI 5/200), non sottovalutando l’aiuto che può ricevere dall’IRC per «riconoscere e accogliere le istanze che emergono dal mondo giovanile», ma soprattutto per «sperimentare e verificare nuovi linguaggi adatti a esprimere il messaggio religioso» (n. 27; ECEI 5/206)?

  1. «Gli uomini di cultura, gli istituti di ricerca e gli organismi universitari» seguono «con attenzione gli sviluppi di questa disciplina apportandovi il loro contributo costruttivo» (n. 30; ECEI 5/211)?

Se le tracce dei suddetti gruppi sono faticosamente reperibili in rete e comunque non integrate a livello nazionale, se in molte diocesi si continua a mettere all’ordine del giorno il problema della collaborazione tra catechesi (o parrocchie) e insegnamento – riguardo i nuovi linguaggi o il diverso mandato – ricominciando però ogni volta dal principio, se per le scuole superiori mancano ancora libri di testo scritti da o insieme a docenti universitari (sulla scia degli ormai classici Abbagnano per la filosofia o Amaldi per la fisica), questo significa che i tre nuclei evidenziati quantomeno non sono stati sviluppati in tutto il loro potenziale.

In secondo luogo, vi sono due punti che mi sembrano l’uno da limare e l’altro da rivedere, soprattutto se penso allo studente che fui e al mutamento generazionale che si è verificato nel passaggio di millennio.

Il primo corrisponde alla convinzione emergente dalla nota secondo la quale l’avvalersi corrisponderebbe immediatamente alla «fiducia» (n. 26; ECEI 5/) verso l’IRC, ovvero a «una estesa e sincera domanda di educazione» e di «un rapporto profondo e autentico con il mondo giovanile» (n. 4; ECEI 5/146).

Se quest’ultima resta costante, per l’altra si potrebbe forse meglio dire che, nonostante il calo negli anni di chi si avvale – anche se non nel modo eclatante che spesso si è soliti pubblicizzare – permane l’interesse e la curiosità verso questa disciplina soprattutto quando essa riesce a tenere insieme la complessità della richiesta proveniente dai genitori e dagli studenti, realizzando una palestra di confronto tra coloro che si avvalgono per motivi magari solo culturali o solo esistenziali o solo tradizionali: perché è una chiave di lettura della cultura, perché aiuta nella ricerca di senso, perché «siamo cattolici e l’abbiamo sempre seguita».

Una ricerca fragile

L’altro punto – questo forse proprio da rivedere – mi sembra essere lo schema teologico sottostante gran parte della nota, ossia quello della corrispondenza immediata tra le «domande» dei giovani e le «risposte» degli adulti (n. 4; ECEI 5/146), all’interno di una scuola che è sempre meno «cultura» e «comunità educante» (n. 5; ECEI 5/147) o «luogo di ricerca della verità e del senso» (n. 28; EV 5/207), e sempre più informazione e tecnicismi – idòla fori perseguiti con scienza e coscienza! –.

Non è che gli studenti non abbiano «domande religiose» o «bisogni spirituali» (n. 4 e similmente nn. 5.7.8.23; EV 5/146), ma non sono più le domande in un certo senso facili su cui si poteva innestare senza grandi difficoltà la risposta cristiano-cattolica per come veniva proposta negli anni Novanta del secolo scorso. Queste domande, infatti, sono divenute talmente «complesse e varie» (n. 29; ECEI 5/208) – come quelle rintracciabili negli articoli di Gilberto Borghi (cf. il blog Vinonuovo.it) – da costringere spesso i docenti a modulare diversamente la risposta un tempo quasi preconfezionata e, in alcuni casi, a reinventarla del tutto.

Restando certo dentro l’ortodossia, ma producendo frammenti di una rinnovata teologia che, ad esempio, dalle alte mete – affermate e (di)mostrate con forza – sia capace di passare alla loro graduale proposta, indicando un cammino praticabile e un percorso vivibile, quando altrimenti si bloccherebbe financo il primo passo...

In effetti, a causa della problematica involuzione dei meccanismi del desiderio che sta alla base dell’«epoca delle passioni tristi», si può notare come un numero crescente di studenti, pur senza aderire a quel relativismo un tempo temuto, non sia affatto alla «ricerca della verità» (n. 23; ECEI 5/195), tantomeno «appassionata» (n. 17; ECEI 5/181), ma l’abbia soffocata o rimossa all’interno di un opinionismo un po’ appassito, senza peraltro lasciarsi andare a quell’indifferentismo oggi maggiormente paventato.

Questo atteggiamento, però, è portato a valutare come autoritario un insegnante, non più soltanto quando impone alcune idee o valori (fenomeno che ancora resiste), ma già quando tenta senza le dovute accortezze di far sì che gli studenti accolgano quantomeno l’ipotesi secondo cui questa «ricerca» è già dentro di loro ma non ancora percepita e dunque da «suscitare» (n. 4; ECEI 5/146): «Il pubblico allora cercava domande, oggi vuole solo staccare la spina» – spiega laconico l’attore Elio Germano a proposito di un certo pubblico cinematografico non così tanto differente da quello presente in molte aule (presunte) colte (Avvenire 21.10.2016).

Qui, come già segnalato altrove (Vinonuovo.it, 24.10,2016), si può comprendere meglio la priorità odierna dell’approccio di Francesco – che dovrebbe innervare un’eventuale riscrittura della nota – rispetto a quello wojtyliano (e poi ratzingeriano), scelto (e mantenuto) come prioritario nel kairòs diverso in cui apparve (e si è conservata immutata) la nota in questione –.

A orecchie formatesi su quest’ultimo dialetto, infatti, Francesco può risultare come un cedimento che rischia di finire in uno smottamento, mentre alla luce di quanto osservato, come notò anche Francesco Agnoli (Libertaepersona.org 25.11.2013), esso richiede agli educatori soltanto una maggiore gradualità volta a consolidare o a costruire come un tempo, laddove l’altro approccio, invece, rischierebbe oggi di produrre rifiuti che nulla hanno a che vedere con lo scandalo evangelico oppure gusci spesso vuoti che, come la casa sulla sabbia, sono pronti a frantumarsi al primo vero temporale...

 

Sergio Ventura*

 

* Rielaborazione di un testo apparso con il titolo «Ora di religione, il passo in più» in Vinonuovo.it il 21.10.2016.

 

 

 

 

Tab. 1: IRC - Percentuale avvalentisi

Anni

2004-2005

2005-2006

2006-2007

2007-2008

2008-2009

2009-2010

2010-2011

2011-2012

2012-2013

2013-2014

2014-2015

Nord

87,0

86,6

85,9

85,5

85,1

84,3

83,7

83,4

82,9

82,5

82,2

Centro

91,1

90,7

90,3

90,3

90,0

89,2

89,0

88,3

88,1

87,8

87,8

Sud

98,4

98,3

98,4

98,3

98,2

98,1

98,1

97,9

97,9

97,8

97,8

Italia

91,8

91,6

91,2

91,1

91,0

90,0

89,8

89,3

88,9

88,5

87,8

 

 

Tab. 2: percentuale non avvalentisi per regione

Regione

2012-2013

2013-2014

2014-2015

Abruzzo-Molise

5,0

4,8

5,2

Basilicata

2,0

2,2

2,2

Calabria

2,1

2,3

2,3

Campania

1,5

1,7

1,8

Emilia-Romagna

19,6

19,6

20,3

Lazio

10,7

10,9

10,5

Liguria

16,7

18,4

18,8

Lombardia

17,5

17,7

17,8

Marche

9,9

10,6

10,4

Piemonte

18,3

18,8

19,3

Puglia

2,0

2,0

2,1

Sardegna

6,1

6,1

6,2

Sicilia

2,9

2,9

3,0

Toscana

20,2

20,7

20,9

Triveneto

14,2

14,9

15,0

Umbria

9,4

9,1

9,4

Italia (media)

11,1

11,5

12,2

 

Tab. 3: percentuale non avvalentisi per grado di scuola

Scuola

2012-2013

2013-2014

2014-2015

Infanzia

9,0

9,2

10,0

Primarie

7,1

7,7

8,4

Sec. 1° grado

9,6

9,8

10,4

Sec. 2° grado

17,9

18,0

18,4

Tutte le scuole

11,1

11,5

12,2

 

Tipo Articolo
Tema Pastorale - Liturgia - Catechesi
Area
Nazioni

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Attualità, 2016-16

Ora di religione: il trapezista

Sergio Ventura

Nell’incontro d’inizio anno scolastico tra gli insegnanti di religione di Roma, il tema avrebbe dovuto essere «Il futuro dell’IRC in Italia», anche alla luce di alcune «proposte alternative di educazione etico-religiosa». Purtroppo, la sopravvenuta impossibilità a parteciparvi dell’ospite invitato ha costretto a rimandare il confronto. Preparandomi alla discussione, comunque, mi ero reso conto che esattamente venticinque anni sono passati dalla pubblicazione, nel 1991, della nota pastorale CEI sull’insegnamento della religione cattolica in Italia.