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Attualità
Attualità, 18/2016, 15/10/2016, pag. 525

Cattolici e Luterani: dalla Riforma al Vaticano II

Il dialogo come fedeltà evangelica

Carlo Ghidelli

Non è mia intenzione esaltare la figura di Lutero oltre ogni misura; tanto meno vorrei cadere in giudizi anacronistici: la distanza tra le posizioni di Lutero e quelle del concilio Vaticano II non è solo cronologica. Tuttavia, ripensando il concilio Vaticano II e rileggendo i documenti da esso emanati, non si può non chiedersi quali sono stati i personaggi (Lutero compreso), i movimenti o gli eventi storici che in qualche misura lo hanno preparato. Lavoro che è già stato fatto da altri con competenza maggiore della mia, ma che reputo necessario fare anche in questa sede, sia pure a volo d’uccello.

 

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Una «raffica di proposte» a carattere pastorale e dottrinale, come «segno di una mia passione ormai inguaribile» per l’ecumenismo, è quella che ci offre mons. Ghidelli in questa sua conferenza tenuta lo scorso 1° giugno a Perugia, in occasione del 40° della fondazione del Centro universitario ed ecumenico «San Martino», che a suo tempo coincise con la promulgazione del decreto conciliare sull’ecumenismo Unitatis redintegratio. Con lo sguardo rivolto alle Chiese che sono in Italia mons. Ghidelli, che è arcivescovo di Lanciano-Ortona e presidente della Conferenza episcopale abruzzese-molisana, immagina numerosi percorsi (tra gli altri: scambi simbolici di doni, studi e pubblicazioni congiunte, studio e formazione comuni, soprattutto sulla Bibbia), distinti ma convergenti verso un obiettivo preciso: portare l’ecumenismo all’interno della vita delle singole parrocchie. «Dobbiamo scendere dai palazzi alle strade, uscire dalle sale dei convegni e camminare con la gente delle piazze, abbandonare gli specialisti e stare con i fedeli della messa domenicale».