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Attualità
Attualità, 10/2013, 15/05/2013, pag. 277

Irlanda - Chiesa: un'Irlanda postcattolica? Il rinnovamento non verrà da piani e programmi importati

D. Martin
Sono entrato in seminario a Dublino nell’ottobre del 1962, una settimana prima dell’apertura del concilio Vaticano II. L’inverno del 1962-1963 fu particolarmente rigido e il nostro seminario era un luogo molto freddo, non solo dal punto di vista climatico. I miei ricordi sono un edificio e una routine, una disciplina e una forma di vita che sembravano aver attraversato immutate i decenni. Anche a un non rivoluzionario, tutto questo sembrava molto lontano dal mondo che avevo appena lasciato e nel quale i miei amici vivevano e crescevano. Ma a noi si chiedeva di non vivere e pensare come loro. Si dovevano fare le cose come si erano sempre fatte. La Chiesa cattolica era immutabile, ma stava per cambiare. Per decenni l’Irlanda è stata considerata uno dei paesi più profondamente e saldamente cattolici del mondo. Oggi si trova a essere, insieme ad altre parti dell’Europa, un paese «post-cattolico». Ognuno ha la propria definizione del termine, ma esso contiene in sé un riferimento ineludibile al cattolicesimo che è stato rimosso. Il cattolicesimo irlandese ha una storia e una cultura assolutamente uniche. Il rinnovamento della Chiesa irlandese non verrà da piani e programmi importati: deve scaturire dal suo interno.

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Il futuro della Chiesa in Irlanda. Mons. Diarmuid Martin, arcivescovo di Dublino e primate d'Irlanda

D. Martin
«Perché sono scoraggiato?». Per «il continuo stillicidio di rivelazioni sulle violenze sessuali sui minori e il modo disastroso in cui sono state gestite. Ci sono ancora forze potenti che preferirebbero che la verità non emergesse». Con notevole franchezza l’arcivescovo di Dublino ha fatto il punto sul futuro della Chiesa di cui è primate in occasione di una conferenza tenuta in diocesi ai cavalieri di Colombano il 10 maggio scorso. Franchezza che gli è costata un successivo comunicato, dove ha chiarito che non alludeva a persone ma a un sentimento diffuso. Per mons. Martin manca infatti «una reale percezione della crisi di fede che c’è in Irlanda», che si manifesta in mol ti campi, ma che trova un punto d’origine da un lato nel «tentativo di minimizzare la gravità» del fenomeno delle violenze compiute da personale ecclesiastico e dall’altro nel fatto che tutti coloro che oggi sono pronti a criticare hanno taciuto quando cresceva nei seminari un’«angusta cultura del clericalismo». C’è solo una via: imparare dal «vuoto spirituale» delle vittime e a partire dalla fragilità far nuovamente posto a Dio e «a una Chiesa molto diversa».